Il Coordinamento Nazionale dei Docenti della disciplina dei Diritti Umani interviene in occasione della Giornata internazionale della natura selvatica per lanciare una proposta didattica.
La Giornata internazionale della natura selvatica – UN World Wildlife day – è stata istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per celebrare e far conoscere gli animali e le piante selvatiche del mondo nel giorno in cui commemorare la firma della Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES) del 3 marzo 1973.
Il focus per la giornata del 2022 è il “Recupero di specie chiave per il ripristino dell’ecosistema” nell’ottica degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite numero 1 (eliminazione della povertà), 2 (Fame zero) 12 (Garantire modelli di consumo e produzione sostenibili), 13 (Azione per il clima) 14 (Vita sotto l’acqua) e 15 (Vita sulla terra).
L’impegno al recupero delle specie in via di estinzione e degli habitat è un passo essenziale per la resilienza degli ecosistemi ai cambiamenti climatici e per la loro protezione da nuove aggressioni. La continua perdita di specie, habitat ed ecosistemi, infatti, minaccia tutta la vita sulla Terra, compresa quella della specie umana.
Con la Legge costituzionale 11 febbraio 2022 n. 1 recante “Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22 febbraio u.s., la tutela dell’ambiente ha finalmente fatto ingresso tra i Principi fondamentali della Carta Costituzionale. Un nuovo comma si è aggiunto all’art. 9 sancendo che la Repubblica “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.
La tutela dell’ambiente, fino ad ora solo implicitamente tutelata dalla Costituzione, diventa quindi un centro autonomo di interesse tutelato da tutto l’ordinamento.
In questo contesto, tuttavia, si inserisce una fonte di rischio ambientale devastante: una nuova guerra.
Gli effetti ambientali che le guerre portano con sé possono compromettere irreversibilmente gli ecosistemi a causa di contaminazioni dell’aria dell’acqua e del suolo, consumo del suolo dovuto alla presenza di opere destinate alle operazioni militari, incendi, esplosioni di pozzi petroliferi, inquinamento dovuto alla produzione di armi ed al loro smaltimento, o peggio ancora a causa dell’utilizzo di armi chimiche (desfolianti, fosforo, cloro, uranio ecc.), biologiche o nucleari.
Quella che Wilko Graf von Hardenberg chiama “la vittima occulta della guerra” è in realtà la vittima maggiore. La sofferenza dell’ambiente ha effetti che si protraggono nel tempo fino a colpire esseri viventi non ancora nati al tempo della guerra.
Tanto accade ancora oggi in Giappone dove il Radiation Effectsresearch foundation – programma di ricerca che studia gli effetti delle radiazioni nei sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki – continua a rilevare alterazioni genetiche nei discendenti della terza generazione.
La storia ci insegna che gli ecosistemi dei territori di conflitto armato subiscono un’irreversibile compromissione ambientale ed umanitaria. È per questo motivo che negli ultimi 60 anni il diritto internazionale si è arricchito del sistema di disarmo e di non proliferazione delle armi di distruzione di massa composto dal Trattato di non proliferazione nucleare (1luglio 1968), dalla Convenzione per il bando delle armi biologiche (10 aprile 1972), dalla Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche (13 gennaio 1993) e il più recente dal Trattato per la proibizione delle armi nucleari (20 settembre 2017).
L’umanità e l’ambiente esigono pace!
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