Dwyane Wade e Carmelo Anthony, due dei nomi più altisonanti del Draft 2003, uno dei più ricchi di talento di ogni epoca. Carriere e percorsi diversi, accomunati da una crescita sempre più esponenziale nel corso degli anni, fino a divenire due autentiche superstar della lega cestistica più famosa e seguita al mondo. Dopo essere stati bandiere di tre franchigie importanti, i Miami Heat il primo – con cui ha vinto tre anelli (2006, 2012 e 2013) – e i Denver Nuggets prima e i New York Knicks poi il secondo, i due si sono tuffati in una nuova esperienza professionale: Wade, dopo un anno non particolarmente esaltante nella sua Chicago con la maglia dei Bulls, si è ricongiunto con l’amico di vecchia data LeBron James ai Cleveland Cavaliers, così come Anthony ha deciso di lasciare la sua città natale, la Grande Mela, in cui non è mai riuscito a trovare la serenità necessaria, per formare un Big Three sulla carta impressionante con l’MVP Russell Westbrook e Paul George in quel di Oklahoma con i Thunder.
Durante l’estate, in molti ipotizzavano un’annata radiosa per entrambi, prevedendo un dominio di OKC ad Ovest e dei Cavs ad Est. Non tutto ciò che era stato previsto, però, si è concretizzato, o almeno non ancora. Se è vero che la regular season, pur essendo ormai entrata nel vivo, è ancora molto lunga, è pur vero, infatti, che le due squadre hanno faticato parecchio fin qui. Cleveland si è ormai rialzata e, con dodici vittorie consecutive, ha rispedito al mittente le critiche, mentre i Thunder continuano a rappresentare il più grande punto interrogativo della stagione attualmente in corso, in quanto alternano belle vittorie (con Golden State Warriors e San Antonio Spurs, per esempio) a prestazioni a dir poco deludenti che sfociano in sconfitte clamorose (tra cui quelle con i Sacramento Kings e con i Dallas Mavericks). Per comprendere meglio la situazione delle due franchigie, è necessario delineare un quadro preciso dell’andamento delle cose sui due fronti e, soprattutto, del ruolo che Wade e Anthony hanno svolto fin qui per le rispettive squadre.
L’UMILTÀ DEL CAMPIONE DÀ IL VIA ALLA SVOLTA – Dwyane Wade sbarca a Cleveland e divide tifosi, giocatori e addetti ai lavori, tra chi sostiene che possa rappresentare un innesto di sicura affidabilità al fianco del suo storico compagno di squadra ai tempi di Miami LeBron James e chi, invece, ritiene che il classe ’82 sia ormai da considerare soltanto un giocatore di contorno e non più determinante come nei suoi anni d’oro. L’avventura dell’ex Chicago Bulls nell’Ohio non parte benissimo, ma le prime due prove sottotono del nuovo #9 dei Cavs passano in secondo piano rispetto alle belle vittorie con Boston Celtics (102-99) e Milwaukee Bucks (116-97). In occasione della terza gara stagionale, persa per 114-93 in quel di Orlando con i Magic, arriva però una clamorosa svolta in casa Cleveland. La netta sconfitta in Florida rappresenta un campanello d’allarme da non sottovalutare, un pericolo all’orizzonte che Wade fiuta immediatamente e, con grande umiltà, si reca da coach Tyronn Lue per chiedergli di partire dalla panchina a cominciare dalla gara seguente.
Richiesta che l’allenatore accoglie, sottolineando l’estrema professionalità di un campione del suo calibro, che si assume le sue responsabilità senza troppi giri di parole, nell’interesse esclusivo della squadra. Dalla gara vinta per 119-112 contro i suoi ex Chicago Bulls, Wade ricopre con diligenza il suo nuovo ruolo di sesto uomo dei Cavaliers, con J.R. Smith che torna in quintetto base: Flash offre un notevole contributo (11 punti, 4 assist e 3 rimbalzi) per il successo finale per 119-112, ripetendosi nella pesante sconfitta per 123-101 con i New Orleans Pelicans (15 punti e 4 assist). Nella sconfitta interna per 117-115 con gli Atlanta Hawks, Wade mette a referto numeri incredibili, siglando 25 punti, catturando 11 rimbalzi e distribuendo 6 assist in uscita dalla panchina, ed è grazie anche e soprattutto al suo più che significativo apporto che i Cleveland Cavaliers rialzano la testa e tornano ad essere, come di consueto, devastanti sotto tutti i punti di vista.
La terza scelta del Draft 2003 mette la sua firma nelle vittorie con New York Knicks e Philadelphia 76ers (15 punti a testa), poi con 17 punti contribuisce alla vittoria contro i suoi ex Miami Heat e ne mette a referto 19 nel successo con gli Atlanta Hawks, quindi 16 con i Memphis Grizzlies e, addirittura, 24 contro un’altra sua ex squadra, i Chicago Bulls, proprio allo United Center, facendo registrare anche 6 rimbalzi e 2 assist. Oltre a ciò, da segnalare il fatto che Wade si sia adattato con incredibile rapidità agli schemi di coach Lue, integrandosi alla perfezione in quel di Cleveland, prova ne è l’ottima intesa con LeBron James (due titoli per loro con i Miami Heat, nel 2012 e nel 2013) nonostante un avvio piuttosto opaco: da incognita a risorsa preziosa – anche perché poche franchigie possono concedersi il lusso di pescare un giocatore come Wade dalla panchina – Flash ha finalmente trovato la sua dimensione, così come i Cleveland Cavaliers. All’origine di ciò, proprio la scelta del 35enne di partire dalla panchina, una richiesta che ha rappresentato la vera svolta per entrambe le parti.
TANTE OMBRE E POCHE LUCI – Dopo tanti anni da leader di New York sul parquet ma con un rapporto mai decollato del tutto con l’ambiente della sua città natale e in particolar modo con il proprietario della franchigia Phil Jackson, Carmelo Anthony ha deciso di lasciare la Grande Mela e tentare una nuova esperienza che potesse dargli gli stimoli giusti per ritrovare sé stesso e puntare finalmente a cancellare i suoi limiti e le tante critiche ricevute nel corso degli anni. Da un bel po’ di tempo, infatti, Melo è uno dei giocatori più emblematici della lega, in particolar modo dal punto di vista offensivo (miglior marcatore della stagione 2012-2013 con 28,7 punti a partita), ma tra i campioni scelti al Draft 2003 è l’unico a non aver mai vinto un titolo e non dispone di un palmarès paragonabile a quello dei tanti altri campioni che hanno scritto e che stanno scrivendo la storia di questo sport, eccezion fatta per i trofei conquistati con la Nazionale statunitense (tre ori olimpici, un oro ai Campionati americani e due medaglie di bronzo alle Olimpiadi).
Ad OKC risulta essere l’ultimo, in ordine cronologico, dei componenti del Big Three, essendo arrivato quasi tre mesi dopo Paul George in quel di Oklahoma. In molti sostengono che l’arrivo di Anthony rappresenti, insieme a quello del già citato PG-13 e alla permanenza con tanto di rinnovo a cifre astronomiche dell’MVP in carica Russell Westbrook, l’inizio di un ciclo vincente per i Thunder, ritenuti in grado di ostacolare le potenze di Ovest nella caccia al titolo. L’inizio di stagione sembra sostenere quest’ipotesi, con i Big Three che mettono a referto 71 punti, 17 rimbalzi e 18 assist nel successo casalingo per 105-84 contro i New York Knicks. Proprio Anthony dà il via alle danze contro la sua ex squadra, rompendo l’equilibrio con una tripla e totalizzando 22 punti al suo debutto. Melo offre un buon rendimento anche nella seconda uscita stagionale, ma i suoi 26 punti non sono sufficienti per avere la meglio sugli Utah Jazz, quindi ne segna 23 contro i Minnesota Timberwolves, illudendo i suoi con la tripla della vittoria per il 113-112, poi vanificata dal buzzer beater di Wiggins.
Nel successo con gli Indiana Pacers, Anthony fa registrare la sua prima doppia doppia in quel di Oklahoma (28 punti e 10 rimbalzi), quindi realizza ancora 23 punti contro Minnesota, fallendo però la tripla del possibile pareggio, centra la seconda doppia doppia stagionale nel ko con i Boston Celtics (10 punti e 14 rimbalzi), mette a segno 28 punti nella sconfitta contro i Denver Nuggets, sua ex squadra, per poi risultare spesso e volentieri l’anello debole del Big Three, come dimostrano la discussa espulsione nel match perso con i Portland Trail Blazers e le numerose prestazioni sottotono che non rendono giustizia ad uno dei giocatori più talentuosi della lega (ad esempio nell’ultima gara vinta con i San Antonio Spurs, in cui ha fatto registrare appena 9 punti, 6 rimbalzi e 3 assist in 31′). A differenza di Wade, però, Melo non sembra intenzionato ad accomodarsi in panchina, come dimostra la fragorosa risata con cui rispose nel corso della sua conferenza stampa di presentazione a chi gli chiedeva delucidazioni in merito a una sua possibile partenza dalla panchina. Magari potrebbe essere proprio una decisione del genere a rappresentare la chiave di volta per la stagione fin qui piuttosto altalenante di OKC, proprio come avvenuto a Cleveland con Wade. Destini che si incrociano, storie tanto diverse quanto simili di due giocatori che da quasi quindici anni sono tra i protagonisti assoluti del basket made in USA.
Dennis Izzo
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Coordinatore editoriale di Voci di Città, nasce a Napoli nel 1998. Nel 2016 consegue il diploma scientifico e in seguito si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli. Tra le sue tanti passioni figurano la lettura, i viaggi, la politica e la scrittura, ma soprattutto lo sport: prima il calcio, di cui si innamorò definitivamente in occasione della vittoria dell’Italia ai Mondiali 2006 in Germania, poi il basket NBA, che lo tiene puntualmente sveglio quasi tutte le notti da ottobre a giugno. Grazie a VdC ha la possibilità di far coesistere tutte queste passioni in un’unica attività.
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