Il 2 dicembre 2002, all’interno del complesso di Parigi-Bercy, Paul-Henri Mathieu aveva la possibilità di regalare alla Francia la decima Coppa Davis della sua storia, nel quinto e decisivo incontro, con il russo Mikhail Youzhny. Avanti due set a zero, l’allora ventenne si sciolse come neve al sole parigino, e venne rimontato dal coetaneo in una sconfitta drammatica per il capitano Yannick Noah, che pregustava già il bis dell’anno precedente, quando Nicolas Escudé regalò la nona sinfonia al popolo transalpino vincendo l’ultimo match in casa dell’Australia di Hewitt, contro Wayne Arthurs.
Quindici anni dopo, il vecchio Noah, con qualche capello bianco in più, si trovava di nuovo a dover confidare in un giovane francese in rampa di lancio, per la quinta partita della finale contro il Belgio, dopo che David Goffin aveva firmato, nei propri singolari, due successi per la squadra ospite. Stavolta, per evitare il ricorso del destino, la location scelta non era quella di Bercy, ma quella dello Stade Pierre Mauroy di Lille, con trentamila voci a sostenere i Bleus. Lucas Pouille, sconfitto venerdì dal numero 1 belga, doveva scendere in campo contro Steve Darcis, il vecchio squalo che vantava un record di cinque vittorie in altrettante partite quando contava di più in Davis, e in stagione aveva già firmato un successo di altissimo livello contro Alexander Zverev.
Il ventitreenne di Grand-Synthe, padre francese e madre finlandese, ha mostrato, però, di essere fatto di una tempra diversa rispetto a Mathieu, escluso (per scaramanzia?) da Noah anche dal doppio, dove in coppia con Herbert ha sempre giocato a livelli altissimi. Sin dai primissimi scambi, infatti, Pouille, che era stato in ballottaggio con Gasquet dopo un deludente debutto contro Goffin, ha tenuto sotto controllo la partita, non concedendo nemmeno una palla break al suo avversario e sfruttando al meglio la prima opportunità concessagli da Darcis, per spezzare immediatamente l’equilibrio e indirizzare la partita sui binari favorevoli.
Col passare dei minuti, la fiducia del francese è progressivamente aumentata, mentre il suo avversario faticava a trovare il tennis che nelle giornate migliori gli aveva consentito di centrare vittorie di prestigio, su tutte quella contro Nadal a Wimbledon. Il numero 18 del ranking ATP, spinto dal sostegno del pubblico francese, ha messo a segno una raffica di vincenti, facendo valere anche la netta differenza di rendimento al servizio. Lo score di 6-3 6-1 6-0 rende perfettamente l’idea di quello che è stato il dominio di LP, accompagnato tra un set e l’altro da una Marsigliese da brividi.
Adesso, per il talento francese, viene la parte più difficile. Dopo un 2016 straordinario, nel quale è stato votato dai colleghi come Most Improved Player of The Year, l’annata tennistica appena conclusa è stata un continuo alternarsi di luci e ombre per Pouille, che ha vinto il primo ATP 500 della sua carriera a Vienna, dopo i successi di Budapest e Stoccarda nella categoria 250, ma ha anche faticato a ripetersi sui livelli della scorsa stagione negli Slam, dove il miglior risultato è arrivato sul cemento di Flushing Meadows, con un ottavo di finale comunque inferiore ai quarti di un anno fa, quando arrivò il successo – fino a quel momento – più prestigioso della carriera contro Rafael Nadal.
Un calo di rendimento confermato dalla classifica, visto che, toccato a inizio maggio il best ranking di numero 13 (dopo la semifinale persa a Montecarlo con Ramos), il ventitreenne ha iniziato una lenta ma costante discesa, salvo poi risollevarsi con il titolo di Vienna fino all’attuale diciottesima posizione. Da qui ripartirà il prossimo anno, con la ferma volontà di superare il primo turno all’Australian Open, finora sempre un tabù. Ad aspettarlo, non tanto in Australia quanto nel lungo periodo, il confronto con gli altri vincitori del decisivo spareggio di Coppa Davis.
Essendo la quinta partita riservata alle seconde teste di serie di ogni nazionale, infatti, nel corso degli anni si sono succeduti protagonisti più o meno anonimi, basti pensare ai vari Escudé e Youzhny menzionati in precedenza, ma anche a Delbonis, l’uomo del destino un anno fa per l’Argentina, nella sfida con Karlovic, o a Viktor Troicki e Radek Stepanek, non dei carneadi nel circuito, ma nemmeno nomi di primo piano. L’unica eccezione, in un certo senso, è rappresentata dal folle talento di Marat Safin, l’unico numero 1 dell’elenco, che consegnò alla Russia l’insalatiera del 2006 da numero 2, ma solo perché aveva davanti a sé in quel periodo un giocatore più regolare come Davydenko, all’apice della carriera e terzo nel ranking dopo i dominatori dell’era Federer e Nadal, prima dell’avvento di Djokovic e Murray.
Insomma, da Pouille ci si attende qualcosa di più, già a partire dai prossimi mesi. Per il talento a sua disposizione, considerando i mezzi tecnici e fisici di primissimo livello e la adattabilità alle varie superfici testimoniata dai risultati centrati finora, basterebbe un po’ di continuità in più per centrare l’accesso in Top Ten, considerando che in questo momento tra i primi dieci del mondo ci sono giocatori come Pablo Carreño Busta o Jack Sock. Molto dipenderà, però, dalla costanza mentale del ragazzo, che spesso esce dalla partita alla prima difficoltà, apparendo svogliato e mai in grado di ribaltare il momentum.
Una menzione, ancora una volta, la merita lo splendido perdente David Goffin, che ha trascinato il Belgio fino alla finale e ha vinto i due incontri disputati, ma come due anni fa contro la Gran Bretagna ha dovuto assistere alla cerimonia di premiazione della Davis dall’angolo oscuro dello sconfitto. Per il belga si tratta della seconda cocente delusione nel giro di una settimana, dopo la sconfitta nella finale del Master, ma anche lui, come Pouille, deve guardare con speranza al 2018, e prendere questi risultati come punto di partenza per una grande stagione.
Francesco Nardi
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