Io sono è la mostra itinerante che farà tappa in varie città italiane per dar voce alle sofferenze di molte persone. Lo scopo primario dell’iniziativa è quello di ricordare che ogni migrante ha una propria identità, anche se a volte appare indistinta e confusa all’interno di definizioni generiche.
Come si può intuire già dalla scelta del titolo, si tratta di un progetto semplice ma dal forte messaggio. La fotografa Luisa Menazzi Moretti ha realizzato una serie di scatti su venti individui. Li ha conosciuti grazie al lavoro degli operatori sociali italiani nell’ambito dell’immigrazione. Ognuno di loro racconta una storia unica, identificativa, personale. La mostra è organizzata attraverso foto-ritratto dei protagonisti, accompagnate da una sintetica frase che mette in luce alcuni particolari. L’esposizione si sposterà in varie città, tra le quali Napoli e Milano, per poter aprire gli occhi a un grande numero di osservatori.
Oltre che essere un’idea originale perchè racconta efficacemente le vicende di chi si muove o scappa alla ricerca di una vita migliore, questa mostra ha una speciale caratteristica. In tutti gli scatti di Io sono i soggetti raffigurati stringono tra le mani un oggetto. Per esempio c’è Muhamed che mostra un sasso dipinto, in quanto è sfuggito alla lapidazione. C’è Joy che porta una candelina azzurra per celebrare il compleanno del figlio, scampato alle terribili persecuzioni di Boko Haram. Poi c’è Adama che ha sulle gambe una pentola. Era stata promessa in sposa ad un uomo molto anziano e per non essere sottomessa o uccisa è stata costretta a fuggire. Ogni oggetto è simbolo di una storia specifica, inimitabile, esclusiva e aiuta a presentare l’identità dell’individuo.
Io sono: soltanto due parole, ma così esaustive da non aver bisogno di spiegazioni. Inoltre, unite alle foto e alle storie, permettono di ricordarci l’importanza dell’essere. I protagonisti provengono da Costa d’Avorio, Afghanistan, Pakistan, Siria, Nepal, Libia, Gambia, Nigeria, Senegal, Egitto, Congo, Mali, Eritrea ed Etiopia. Spesso i migranti vengono descritti come un gruppo indistinto, vengono visti da lontano. Non si sa niente di loro perciò possono sembrare tutti uguali. Come spiega la fotografa, in realtà, dobbiamo provare a ricordarci sempre che sono tutti prima persone che migranti. Questo lavoro racconta la condizione di alcuni di loro per mettere in primo piano le singole esperienze personali, poichè ogni individuo è unico. La mostra è corredata anche da un video, da un libro e da una guida didattica per portare il messaggio anche nelle scuole, per educare sul rispetto dei diritti umani.
Sara Tonelli
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