Come riportato su Repubblica Dante Alighieri era narcolettico. Uno studio partito dall’ Università di Bologna e pubblicato sulla rivista The Lancet Neurology, ha scavato tra le righe delle sue opere e ha fatto emergere questa verità finora celata sul poeta.
Narcolessia: ipersonnia, eccessiva sonnolenza diurna, progressivo ed improcrastinabile impulso ad addormentarsi, cataplessia, allucinazioni ipnagogiche. Queste le caratteristiche di una malattia del sonno rara che colpisce 4 persone su 10 mila. Tra queste oggi possiamo annoverare un illustrissimo paziente: Dante Alighieri. Lo studio: Giuseppe Plazzi, ricercatore del Dipartimento di Scienze biomediche e neurologiche Dell’Alma Mater di Bologna è stato il primo ad avanzare l’ipotesi che Dante fosse narcolettico.
Ora un gruppo di ricercatori dell’ Università di Zurigo, esperti in Medicina Evoluzionistica, prendendo spunto dall’ incipit di Plazzi ne hanno riproposto e indagato la tesi pubblicando la loro ricerca sulla rinomata The Lancet Neurology confermandone e avvalorandone la parte clinica. “Nel mezzo del cammin” della giornata del sommo poeta spesso andava a fargli visita “la bestia per cu’ io mi volsi (…) ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi” : l’ansia che gli faceva tremare i polsi, accelerare il battito cardiaco, gli faceva venire voglia di fuggire. Proprio come succede a chi è vittima di un fortissimo attacco di ansia. E’ proprio qui il collegamento, per gli studiosi, tra Dante e la narcolessia, perché essa è accompagnata e caratterizzata proprio da tali stati di ansia.
Ma non solo. Nei versi della Divina Commedia spessissimo il poeta parla di un certo senso di stanchezza, una sonnolenza, “iniziare il cammino pien di sonno”, Dante sente il bisogno di dormire dopo aver sperimentato emozioni forti come l’ incontro con Francesca e Paolo e agli occhi dello spettatore, non difficilmente, può sembrare che l’ intero racconto della Divina Commedia sia un sogno , un sogno chiaro, lucido una esperienza onirica del tutto simile alle esperienze oniriche dei pazienti narcolettici.
Chiaramente per essere sicuri della tesi, e fugare ogni possibile dubbio, i ricercatori dovrebbero analizzare geneticamente i resti di Dante e chissà che, un domani, non lo facciano davvero. Per il momento dobbiamo accontentarci di sapere questa piccola cosa in più sul padre della nostra lingua. Intanto, tale scoperta può sicuramente farci riflettere su quanto dura e faticosa sia stata la vita di Dante e quanto ,nonostante questa insidiosa, fastidiosissima malattia, lui sia stato capace di renderla straordinaria ed immortale regalandoci la sua maggiore opera che seppure, forse, frutto di un sogno resta e resterà sempre il massimo capolavoro della letteratura Italiana.
Gilda Angrisani
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