Vestiti, tecnologia e accessori vari non bastano ad Amazon per affermarsi sempre più come il padrone indiscusso dell’e-commerce: adesso ha deciso di acquistare una grande catena di supermercati, la Whole Foods, impegnata soprattutto nella realizzazione di prodotti biologici. L’investimento effettuato dal colosso di Seattle (14 miliardi di dollari) ha generato immediatamente grossi profitti sin dal primo giorno grazie anche al ribasso del 43% applicato ai prezzi di tutti i prodotti, che ha reso felici i clienti di Whole Foods. Tuttavia, ciò che da questa manovra di mercato potrebbe uscirne danneggiato è il settore biologico vero e proprio, finendo per allinearsi alla grande distribuzione organizzata, sebbene ci si aspetti e si speri nel contrario.
Purtroppo, molto spesso coloro che pagano le conseguenze di certi investimenti realizzati da giganti come Amazon, sono le piccole e medie imprese. Difatti, si presume che d’ora in poi poche di esse riusciranno a star dietro ai profitti ricavati dal settore biologico che si attesta su Internet, e si assisterà, molto probabilmente, anche un’impennata dei prezzi. Molti imprenditori accusano i grandi di stare rovinando iniziative che mirano prevalentemente alla tutela e alla conservazione dei territori, affidando, di conseguenza, il futuro del campo alimentare all’agroindustria.
Le eccellenze di territori nostrani e non, rischiano seriamente di scomparire dalle tavole di tutto il mondo? Questa è la domanda che le aziende dovrebbero cominciare a porsi al fine di inseguire, raggiungere e fissare a sé, con prepotenza, la qualità tipica delle produzioni casearie e caratteristiche. Acquistare su Internet è una comodità, senza alcun dubbio, ma è incerta invece la qualità che a questi prodotti viene affibbiata: “Made in Italy”, “100% Bio” eccetera sono contrassegni importantissimi, ma è anche risaputo che, purtroppo, molto spesso al giorno d’oggi si tende a falsificare la vera provenienza degli articoli gastronomici. Pertanto, si spera che moltissime aziende riescano a fare della qualità il proprio marchio di fabbrica, affinché l’agroindustria non prenda il sopravvento.
Anastasia Gambera
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