Fanno versare fiumi di lacrime, hanno storie tristi e i loro finali non prevedono, quasi mai, un happy ending. Perché, quindi, i film drammatici sono tanto amati? Come si spiega il loro successo? Nelle sale cinematografiche i film tristi sono, solitamente, il genere più apprezzato dagli amanti della settima arte e quelli che fanno registrare un maggior boom d’incassi e di pubblico. Negli ultimi anni, solo per citare qualche esempio, si è stati testimoni del trionfo nei cinema di pellicole come “Colpa delle stelle” o, il più fresco, “Io prima di te”, anche se il fenomeno non è di recente apparizione. Quanti non hanno adorato, infatti, il finale strappalacrime di “Ghost” o non si sono addolorati di fronte alla tragica storia de “La vita è bella” ? Insomma i film con finale infelice piacciono proprio parecchio, e il pathos che essi producono cattura lo spettatore, come un ragno con la sua tela. Un recente studio scientifico, però, rivelerebbe adesso quali sono le ragioni alla base del grande successo delle pellicole drammatiche.
Un team di ricercatori dell’università di Oxford, pubblicato dalla rivista Royal Society Open Science, afferma di aver rintracciato, finalmente, i meccanismi ai quali sarebbe riconducibile la passione degli individui per i lungometraggi strappalacrime. Secondo questo studio, in effetti, guardare dei film tristi non solo rafforzerebbe il senso di appartenenza a un determinato gruppo, ma stimolerebbe altresì la produzione di endorfina nell’organismo. Gli studiosi, cercando di venire a capo del fenomeno, definito addirittura “enigma evoluzionistico”, in quanto non esplicabile per mezzo della teoria darwiniana, sono giunti, infine, alla conclusione che le vicende tragiche, rappresentate nei film, producano un particolare effetto sulla mente umana. L’ipotesi, elaborata dai ricercatori, condurrebbe a pensare che i film tristi scatenino nell’individuo i medesimi meccanismi neurobiologici, i quali sottostanno alle relazioni sociali dei primati e degli esseri umani. In tal modo, ogni qual volta si guarda una pellicola drammatica, verrebbe rilasciato nel sangue una maggiore quantità di endorfina, facendo aumentare il grado di resistenza al dolore fisico. Questo accadrebbe poiché, secondo Dumbar, co-autore dell’esperimento, «quando affrontiamo il dolore psichico, vengono attivate le stesse aree del cervello preposte al dolore fisico». Inoltre, anche il senso d’appartenenza al gruppo sarebbe rafforzato dalla visione delle scene di sofferenza nei film tragici.
Per verificare queste ipotesi e dar corpo alla propria tesi, i ricercatori si sono avvalsi dell’aiuto di centosessantanove uomini e donne, partecipanti all’esperimento, suddivisi in due gruppi, composti da soggetti estranei tra loro. Se il primo gruppo è stato sottoposto alla visione del film drammatico “Stuart: A Life Backwards”, che racconta le reali vicende di un uomo disabile alcolizzato e tossicodipendente, al secondo sono stati proposti documentari storici e naturali. Prima della trasmissione dei filmati, però, i partecipanti erano stati invitati a compilare un questionario circa il proprio stato d’animo e riguardo ai sentimenti nutriti verso i componenti del gruppo. Sono, infine, stati sottoposti a un test di resistenza al dolore, legato appunto alla produzione dell’endorfina.
Concluso l’esperimento, i risultati osservati dagli studiosi sono stati di molteplice natura. Coloro che avevano guardato il film drammatico registravano un peggioramento netto dell’umore, mentre chi aveva assistito al documentario aveva solo leggere variazioni dello stato d’animo, positivo in alcuni casi e negativo in altri, quest’ultimo provocato dalla noia. Se, tuttavia, i primi avevano aumentato la resistenza al dolore fisico del 13,1%, i secondi l’avevano vista diminuire del 4,6%. Inoltre, gli elementi del gruppo sottoposto al film drammatico avevano sviluppato anche un forte legame con gli altri membri, nonostante fossero più tristi. Sono state osservate, però, anche alcune eccezioni: non tutti i membri del primo gruppo, in effetti, mostravano un aumento della resistenza alla sofferenza fisica, né uno spiccato senso appartenenza al gruppo. Una conseguenza, questa, della differente maniera in cui gli esseri umani si fanno trasportare dalle emozioni.
Debora Guglielmino
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
Ti piacerebbe entrare nella redazione di Voci di Città? Hai sempre coltivato il desiderio di scrivere articoli e cimentarti nel mondo dell’informazione? Allora stai leggendo il giornale giusto. Invia un articolo di prova, a tema libero, all’indirizzo e-mail entrainvdc@vocidicitta.it. L’elaborato verrà letto, corretto ed eventualmente pubblicato. In seguito, ti spiegheremo come iscriverti alla nostra associazione culturale per diventare un membro della redazione.