Moussavou Ngoma Jean François, in arte Ciarz, è un giovane rapper italiano di origini capoverdiane e gabonesi. Lo scorso 16 gennaio è uscito il suo nuovo album Affunk anticipato in radio dal singolo Fumo in collaborazione con Quinto. Noi di Voci di Città l’abbiamo intervistato per conoscerlo meglio.
Ciarz, è un giovane artista emergente che ha ancora tanto da dire e da esprimere tra emozioni, conflitti interiori e tanti sogni. Nasce a Palestrina in provincia di Roma e cresce con la musica nel DNA: inizia a suonare la chitarra all’età di 8 anni ascoltando il pop e il rock internazionale finché, a 10 anni, si innamora del rap. Giunto all’età di 13 anni, Ciarz scrive il suo primo pezzo, e da allora approda in varie formazioni come H.H, Project, FQC senza però trascurare i suoi progetti personali. La sua passione per la musica continuava a crescere sempre di più e dopo un album d’esordio sotto il nome di Frank D, cambia le melodie, l’approccio vocale e i testi pubblicando un nuovo album, Affunk che è stato anticipato lo scorso 16 gennaio in radio dal singolo Fumo sulle principali piattaforme BandBackers. Con questo nuovo progetto, Ciarz riscopre un nuovo se stesso suonando melodie moderne pur restando fedele alle sue origini, sia sanguigne che musicali. Per saperne di più abbiamo intervistato questo giovane artista ed ecco cosa ci ha raccontato.
Ciao Ciarz, è davvero un piacere intervistarti. Abbiamo letto dalla tua biografia che sei cresciuto con la musica nel sangue in particolare ascoltando il pop e il rock. Come è nata questa passione per il rap? Cosa ti ha spinto a diventare un rapper?
«La mia passione per il rap è nata spontaneamente, sia in ambito casalingo che in ambito scolastico, e inoltre avevo molte persone intorno a me che apprezzavano questo genere di musica. Le canzoni rap, quando le ascoltavo in radio mi piacevano ed è nato un po’ in maniera spontanea l’amore per queste in quanto mi ricordavano l’energia della musica che ascoltavo da sempre ovvero il pop e il rock, e in più mi permettevano di scrivere molte più parole e mi davano la possibilità di approfondire più a fondo gli argomenti».
Pensi di essere stato influenzato da qualche artista attuale componendo le tue canzoni? Hai qualche idolo italiano o straniero in particolare?
«Tantissimi artisti mi hanno influenzato, ho ascoltato tantissima musica sia rap ma anche non rap. Un artista che mi ha influenzato particolarmente e che ho avuto modo conoscere ad un concerto a Palestrina, la mia città, è Caparezza soprattutto per il suo modo di fare rap. Mentre, un artista straniero che mi ha influenzato soprattutto per le melodie musicali è un gruppo rock, quindi sicuramente i Dream Theater».
Ultimamente, la musica si sta molto affacciando sul mondo del rap o dell’hip hop dalle sfaccettature underground. Secondo te perché questi generi appassionano tanto i giovani d’oggi? Quali messaggi vogliono trasmettere?
«Sicuramente, appassiona così tanto ai giovani di oggi perché offre un’alternativa in più rispetto alla predominanza del pop in Italia con le canzoni dal tipico ritornello “amore, amore”. Gli adolescenti e i preadolescenti, vorrebbero esprimere le loro emozioni e sentimenti in maniera piuttosto incavolata, e in più i temi che trattano le canzoni rap hanno modo di sfogare un lato che non ha permesso agli altri generi di fare. Però, tutto questo è stato fatto più dal rock in passato, oggi invece abbiamo il rap che comunica ciò che rappresenta meglio i giovani, ad esempio l’affetto che si prova per una ragazza. Quindi, penso che questo genere musicale voglia trasmettere emozioni anche in maniera piuttosto cruda, ad esempio citando una frase di una canzone Marracash che dice che ogni canzone rappresenta ogni singolo stato d’animo, ecco io la penso esattamente in questo modo. Di conseguenza, i miei testi delle canzoni rap più che un messaggio per spiegare ciò che è giusto o sbagliato fare, trasmettono ciò che sento dentro e rileggendo tutto ciò che scrivo riesco a capire meglio quello che sono e questo mi fa sentire bene, quindi direi che il rap sia un po’ come parlare con uno psicoterapeuta».
Ascoltando l’album Affunk ci ha colpito particolarmente il singolo dal titolo Nigga Funk nel quale racconti di immedesimarti in un due personalità: prima ragazzo di colore che decide di mascherarsi da membro del KKK e poi quello che cerca di riflettere sulle azioni. Cosa vorresti comunicare agli ascoltatori? E cosa vorresti insegnare?
«Vorrei rappresentare emozioni che è quello che in tanti fanno, ad esempio io vorrei esprimere la situazione psicologica di una persona che si ritrova a vivere in una realtà completante italiana ad una considerata completamente straniera. Infatti, facendo rifermento alla mia storia, sono nato e cresciuto in Italia, parlo esclusivamente l’italiano, ho tanti amici prettamente italiani e la maggior parte delle persone mi considera italiano fin da piccolo, ma ad un certo punto mi sono reso conto che alcuni mi vedevano in maniera completamente differente. Io ho rappresentato nella mia canzone tutto questo come se fossi una persona affetta da una sorta di “malattia mentale” che mi permette di avere un alter ego il quale arriva addirittura ad odiare me stesso e di conseguenza anche tutti gli altri. Comunque, con questa canzone non ho intenzione di insegnare nulla perché non ho la capacità di farlo, più che altro voglio “dipingere un quadro” cioè fare una rappresentazione mostrata da un punto di vista di qualcun’altro che in questo caso sono io».
Per il tuo singolo nuovo Fumo hai collaborato con Quinto che definisci un po’ il tuo angelo custode che ti aiuta a risolvere questi conflitti interiori. Come e quando è nata questa collaborazione?
«Ok, in questo caso la figura dell’angelo custode non è riferita a Quinto in modo specifico come persona, ma al ruolo che svolge all’interno della canzone. Quindi, lui è un amico nella parte del grillo parlante al quale bisogna affidarsi e chiedere consigli per risolvere i tuoi conflitti interni e che ti dice la realtà che vede attraverso i tuoi occhi e non quello che pensa realmente. Per quanto riguarda il mio rapporto con Quinto, è nato svariati anni fa quando facevo parte di un gruppo rap con un produttore e un rapper, e da lì in poi abbiamo iniziato a lavorare assieme. Dopodiché, siamo andati alla ricerca di alcune collaborazioni e tra queste c’era anche un altro ragazzo che si chiama Er Foco (Giovannone per me) con il quale abbiamo fatto qualche canzone insieme. Comunque, Io e Quinto abbiamo legato tantissimo ed ora lo considero uno dei miei migliori amici con il quale collaboro spesso, e infatti stiamo costruendo insieme un nuovo studio di registrazione».
Cosa ne pensi dei talent? Parteciperesti a questo tipo di programmi? Pensi che possa aiutare a far successo nella carriera musicale?
«L’argomento dei talent è un discorso molto più complicato di come appare e di come viene raccontato. A volte, il talent lo vedo in modo positivo perché è una buona opportunità per farsi conoscere ad un grande pubblico, e certe volte lo vedo in maniera negativa in quanto gli artisti vengono chiamati rapper solo per scimmiottare questo ruolo, e per di più vengono chiamati in questo modo solo perché ora va di moda non perché interessa realmente questo genere e la maggior parte dei talent è così, non tutti per fortuna. Comunque, per adesso non parteciperei ad un talent, però ogni proposta la valuterei. Più che altro, quello che mi mette in difficoltà, sono i format degli attuali programmi televisivi che ci sono adesso in Italia in quanto nessuno mi darebbe modo di esprimere al meglio quello che vorrei fare con la musica perché tutti quanti tendono a pretendere qualcosa in un tempo prestabilito da te in quanto ti chiamano come rapper, e il più delle volte magari mi viene affidato qualche pezzo che non ha nulla a che vedere con il mio genere di musica. Infatti, io sto cercando di cambiare la figura del rapper dandole qualche “sfumatura” in più, diciamo che vorrei “cucirmela addosso”, quindi costruirla in maniera più personale. A conti fatti, direi che ai talent ci andrei se mi permettessero di fare un po’ quello che mi pare».
Quali progetti hai in futuro? Quali saranno i tuoi prossimi tour?
«Purtroppo, tour non ne abbiamo ancora perché abbiamo dovuto organizzarci tutto quanto a modo nostro. Comunque, per me non è un problema perché abbiamo fatto prima l’album, poi i live con le persone che conoscono meglio le canzoni, e sinceramente, non sono male perché mi permette di vedere quali di queste sono più apprezzate e quali meno. In qualunque modo, non abbiamo particolari programmi perché stiamo ancora costruendo e siamo in attesa di conferme da parte dei vari locali. Per adesso, continuo a lavorare, a scrivere e a fare tutto ciò che ho sempre fatto, dopo tutto non mi corre dietro nessuno. Nonostante questo, vi ringrazio per quest’intervista perché sono davvero contentissimo che voi di Voci di Città abbiate dato a me quest’opportunità di far conoscere meglio a qualcuno il mio lavoro per quanto possa essere criticato, maltrattato, consumato e vissuto da altre persone».
Katia Di Luna
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
Ti piacerebbe entrare nella redazione di Voci di Città? Hai sempre coltivato il desiderio di scrivere articoli e cimentarti nel mondo dell’informazione? Allora stai leggendo il giornale giusto. Invia un articolo di prova, a tema libero, all’indirizzo e-mail entrainvdc@vocidicitta.it. L’elaborato verrà letto, corretto ed eventualmente pubblicato. In seguito, ti spiegheremo come iscriverti alla nostra associazione culturale per diventare un membro della redazione.