Correva l’anno 776 A.C., quando in un afoso 22 luglio (data condivisa dalla maggior parte degli storici), il re Ifito d’Elide decise di festeggiare la storica battaglia vinta contro i Piasti con una manifestazione sportiva. Riprendere un’usanza antica per trasformarla in un evento storico: fu questo, nei fatti, che accadde ad Olimpia 2792 anni fa, quando venne svolta la prima edizione dei giochi olimpici antichi.
Celebrati in onore del dio Zeus, i primi giochi si svolgevano ogni quattro anni e per ben 24 edizioni durarono una sola giornata. Nell’arco di quelle 24 ore, inizialmente, l’unica disciplina che venne adoperata fu quella dello stadion, una corsa di circa 192 metri che venne vinta, per la prima volta, da un certo Coroibo. Successivamente vennero aggiunti il diaulos (una corsa di due stadion), il dolikos (corsa di 24 stadi), la lotta, il pugilato, le corse dei cavalli, le gare ippiche, il pancrazio e il pentathlon. Quest’ultima era considerata con molta probabilità la gara più importante delle prime Olimpiadi, nella quale l’atleta doveva competere in ben 5 competizioni differenti: lo stadion, il salto in lungo, il giavellotto, il disco e la lotta. L’annessione di tutte questa discipline portò, successivamente, ad un cambio radicale di questa manifestazione, che arrivò a durare ben 5 giorni consecutivi e quindi, sebbene in maniera ridotta, si avvicinava molto all’immagine comune che abbiamo oggi dei giochi dai cinque cerchi.
La forte risonanza tra partecipanti e pubblico portò i primi giochi ad espandersi sempre più, annettendo in un secondo momento anche i cittadini romani. Vi furono addirittura degli appositi araldi che ebbero il compito di annunciare l’imminente svolgimento delle Olimpiadi anche nelle città più lontane dal sacro santuario di Olimpia; così, vuoi per la grande organizzazione, vuoi per l’indiscussa fama che le Olimpiadi andavano assumendo, la manifestazione cominciò a diventare un fatto nazionale, che anche per la partecipazione dei sovrani alle singole discipline, divenne uno dei principali eventi con la quale provare il prestigio del proprio Stato.
Non erano comunque i giochi olimpici che noi tutti conosciamo e i motivi sono presto detti. Tra lo sport e il culto, infatti, si aggiunsero anche gare di poesia, eloquenza ed opere letterarie, che da semplici concorsi per scegliere l’encomio più adatto al vincitore di ogni singola gara, divennero anch’esse delle vere e proprie discipline, che trasformarono gli stessi giochi in un manifesto della cultura del tempo. Inoltre, le donne e i fanciulli, soggetti abituali delle Olimpiadi moderne, non erano ben accetti nel corso di quei 5 giorni sacri. Mentre ai secondi fu inizialmente negata solo la partecipazione (fin quando vennero ammessi per le sole prove atletiche) le prime non potevano nemmeno assistere ai giochi, tanto che veniva chiesto ad ogni singolo spettatore di spogliarsi per verificare il proprio sesso. Alla centesima edizione però, Cinisca, nobile sorella del re di Sparta, Agesilao, non solo stravolse i regolamenti diventando la prima donna della storia a partecipare ad una manifestazione sportiva, ma addirittura ne uscì vincitrice, grazie ad una splendida prestazione nella corsa dei carri tirati da quattro cavalli.
Gli atleti dovevano arrivare ad Olimpia un mese prima dell’inizio dei giochi, per consentire ai giudici le registrazioni, i controlli e l’insegnamento delle regole. Il primo giorno delle gare i concorrenti dovevano giurare di essersi allenati per dieci mesi, e che avrebbero scrupolosamente rispettato i regolamenti. Assieme a loro giuravano gli allenatori e i loro padri o fratelli, affermando che gli atleti possedevano tutti i requisiti richiesti per poter partecipare.
Come oggi però, la corruzione e la propaganda politica non era esente nei giochi antichi. Per molti sovrani o aspiranti al trono, infatti, le Olimpiadi rappresentavano un importante campo nel quale fare accrescere la propria immagine e il proprio prestigio, grazie a gare vinte in modo non proprio limpido. Per chi invece partiva dalla propria città come un semplice sconosciuto, invece, i giochi erano un vero e proprio punto di arrivo e di riscatto sociale. Se la premiazione nel tempio di Zeus era al dir poco trionfale grazie all’enorme quantità di applausi e omaggi floreali, il ritorno in patria era molto di più: onori, benefici, immensi regali e per molti anche la giusta fama che poteva portare anche a importanti cariche cittadine. I vincitori delle Olimpiadi erano visti quasi come degli dei e per loro, all’indomani della manifestazione, si assicurava una vita tranquilla e agiata. Anche questi elementi, nel 396 D.C., dopo ben 294 edizioni, portarono l’imperatore Teodosio ad abolire per sempre questi splendidi eventi; le fiorenti palestre, i balli e ogni tipo di feste per partecipanti e vincitori erano considerati come riti tipici del paganesimo, il che era inammissibile in uno stato dove la religione cristiana la faceva da padrone.
Francesco Mascali
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