Analizzare le vicende della satira italiana nel secondo dopoguerra risulta un’impresa abbastanza difficile. Si tratta di un genere che per avere pieno accesso alla divulgazione necessita di un clima politico e sociale piuttosto permissivo. L’esperienza del Fascismo aveva bloccato lo sviluppo del genere satirico per via degli eccessivi controlli imposti dal Partito. Talvolta, gli scrittori hanno rischiato anche censure e dure repressioni. Tuttavia, ci sono stati degli artisti che si sono distinti per la loro capacità di mostrarsi irriverenti e per aver denunciato le ingiustizie del tempo. Tra di essi, Ennio Flaiano è uno dei principali scrittori satirici in grado di polemizzare contro i problemi della società degli anni ’60 con uno stile tutto suo.
La satira tradizionale, quella dell’antica Grecia e poi Roma, si caratterizza per una presa di posizione da parte del satiro che si eleva su una posizione di superiorità. Da lì giudica presupponendo una netta distinzione tra il bene e il male. Ovvero, attraverso gli attacchi satirici si suggerivano le correzioni al fine di migliorare la società. La satira – tra l’altro – prevede un profondo risentimento nei confronti del potere, nonché lo Stato e i politici. La società del secondo dopoguerra – quella su cui Flaiano polemizza – vive una florida fase di sviluppo in seguito al boom economico degli anni ‘60. A ciò si aggiunge il clima di serenità dovuto alla fine del Fascismo.
Eppure, il boom economico che segna una svolta per la vita dell’Italia determina anche una serie di conseguenze negative. Viene a crearsi la cosiddetta “società dei consumi”: la società si impegna esclusivamente in una scalata sociale con l’obbiettivo di raggiungere una ricchezza di apparenze. Si cerca in tutti i modi di apparire ingegnosi, ricchi, legittimati a poter esprimere qualunque giudizio. Ci ha visto bene Flaiano che con il suo sguardo lucido e sempre ironico ha saputo scorgere le contraddizioni di un’Italia brillante, sì, ma solo di false apparenze.
Flaiano è stato uno scrittore, giornalista, sceneggiatore. Nel corso della sua vita ha collaborato con diversi quotidiani, alcuni molto importanti quali “L’Espresso” e “Il Mondo“. Se durante il periodo Fascista la sua satira era sempre stata in sordina, a partire dal secondo dopoguerra non si preoccupa più di scagliare dure critiche ai suoi contemporanei.
«In Italia la situazione politica è grave ma non è seria» scrive Flaiano in uno dei suoi articoli a sfondo satirico. Ciò che più preoccupa lo scrittore è la dis-umanizzazione degli italiani. La nuova società dei consumi ha condannato ogni aspetto della vita a precise regole di mercato. Ciò che ne è conseguito è stata la standardizzazione e l’omologazione di tutta la società che ha perso la sua umanità.
L’emblema degli anni ’60 è, per la Flaiano, l’idolatria dell’automobile che definisce ironicamente makina. A questo proposito ha scritto “Il Dizionario della makina”, un libretto in cui fornisce una serie di precetti – profondamente ironici – circa il comportamento ossessionato della società ossessionata dall’automobile.
«Gomito: Tenere il gomito fuori dello sportello è segno di eleganza e di lunga pratica alla guida. Causa i reumatismi. I gomiti fuori dello sportello annunciano anche il ritorno della primavera».
A partire da questa idolatria Flaiano indaga quanto sia diventato difficile trovare qualcuno con umanità e sentimenti. Tutti sembrano essere presi dal loro vitale bisogno di appartenere a una ricercata élite intellettuale o artistica. Si ricerca l’ambiente favoloso de “La Dolce Vita” di Fellini – di cui Flaiano è stato collaboratore nella sceneggiatura. Un mondo invitante, suggestivo, ricco di smancerie. Ma molto povero, in fondo, perché privo di salde fondamenta. Altro aspetto molto criticato da Flaiano è, infatti, la burocrazia italiana. Lo scrittore si accorge di quanto in Italia la burocrazia altro non è che un labirintico percorso in cui la linea più semplice da seguire è l’ “arabesco”, come lui stesso afferma ironicamente.
Anche l’arte, la letteratura e il cinema sono messi a rischio dalla società dei consumi. La letteratura ha perso le sue più pure ragioni d’esistere e l’obiettivo di scrivere diventa vendere. Le nuove leggi di mercato dei romanzi prevedono scarni contenuti, che utilizzano l’erotismo come punto d’appoggio. Il finto pubblico colto legge di tutto, senza saper distinguere ciò che è valido da ciò che non lo è.
Flaiano si sente solo in questa società italiana in cui avverte di non appartenere e non avere punti in contatto. Eppure, nonostante le sue numerose frecciate satiriche, il genio di Flaiano sta nel suo sapersi porre in relazione alle critiche. Si considera egli stesso un uomo medio, sa di non essere il possessore di nessuna verità, né crede di poter cambiare qualcosa con la sua satira. Flaiano ironizza in primis se stesso che guarda alla sua vita come a un infinito susseguirsi di errori a cui, tra l’altro, non vuole porre fine. «Signor Direttore, collaborando al Suo giornale con queste note di diario mi sono fatto una piccola e riprovevole fama di uomo forse intelligente ma arido. La verità è il contrario: sono certamente un cretino, ma umido»
Giulia Sorrentino
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