Si delinea così uno scenario da terza guerra mondiale, con l’Europa unita che scende in campo contro l’ISIS. Il Premier britannico Cameron ha già chiesto l’autorizzazione al parlamento per i raid aerei da inviare in Siria contro il califfato, la Merkel, dal canto proprio, decide di inviare Tornado e una nave da guerra (oltre a 650 soldati in Mali per sostenere Parigi) e Renzi, per chiudere il cerchio, rinnova l’impegno dell’Italia a favore di una strategia globale contro il terrorismo. A tale quadro si aggiunge quello venuto fuori dal summit del Cremlino a seguito del quale la Russia è tornata in Occidente grazie all’alleanza stretta con il Presidente francese Hollande e auspicando, altresì, una «larga coalizione comune» sotto l’egida dell’ONU, dicendosi comunque pronto in caso contrario a cooperare anche con quella guidata dagli USA.
Renzi, come già detto, ha ribadito il suo impegno nella lotta contro l’ISIS stanziando un miliardo sulla sicurezza: «Proporremo di spostare al 2017 la diminuzione dell’IRES per consentire di impiegare un miliardo per i professionisti della sicurezza; 500 milioni, la metà del miliardo previsto per la sicurezza, saranno utilizzati per esigenze strategiche di difesa, mentre 150 milioni di euro saranno destinati alla cyber security». Inoltre «entro l’anno porteremo a quattro le forze di polizia, con la forestale che confluirà nei carabinieri e avremo una maggiore presenza di forze in strada».
Sembrerebbe tutto chiaro e trasparente se non fosse che proprio lo Stato italiano conta un giro d’affari di oltre 2,5 mld di euro legato all’esportazione di armi nei paesi islamici. È quanto emerge da uno studio effettuato dall’istituto Demoskopika sulla base dei dati, per il decennio 2004-2014, dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), una delle fonti più attendibili per quanto riguarda il mercato delle armi. Ciò significa che ogni 100 euro incassati dalle imprese del made in Italy, circa 40 provengono proprio dal mondo islamico; inoltre, secondo il Global Terrorism Index 2014, tra le 26 aree individuate dallo studio, circa 11 figurano proprio tra i primi 25 Paesi in cui è più forte l’impatto del terrorismo. A questo punto, dunque, non resta che riflettere e sperare.
Ester Sbona
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