Donald J. Trump sta studiando le possibili mosse e strategie da presidente eletto degli Stati Uniti d’America e attualmente è alle prese con le ultime caselle vuote che saranno riempite con i nomi e i volti dei futuri componenti della sua amministrazione. Dopo essersi lasciato alle spalle vittoriosamente una delle campagne elettorali più aggressive che si ricordi, scivolata via tra una gaffe e un colpo basso, il tycoon newyorkese continua a far parlare di se, spaccando nuovamente in due l’opinione pubblica d’oltreoceano tra sostenitori dell’ultima ora ed acerrimi oppositori.
Adesso a far discutere è la nomina dell’ex attorney general dell’Oklahoma (l’equivalente di un ministro della Giustizia con competenze territoriali) Scott Pruitt ai vertici dell’EPA (l’acronimo con cui è conosciuto l’Environmental Protection Agency, ovvero l’Agenzia per la protezione dell’ambiente), organo che dal 1970 si occupa di salute pubblica e salvaguardia ambientale negli USA. Pruitt, 48 anni, avvocato di professione ed esponente del partito repubblicano, è stato definito dalle opposizioni una sorta di alfiere della causa negazionista, il movimento sostenuto dalle potenti lobby del petrolio e del carbone che ripudia l’empiricità dei cambiamenti climatici dovuti alle emissioni di gas serra nell’atmosfera. Il futuro responsabile dell’EPA è espressione di quei territori, come il Texas e l’Oklahoma (bacini consistenti di voti repubblicani durante l’ultima tornata elettorale), dove è stato a lungo manifestato un certo disfattismo nei confronti delle politiche ambientaliste del presidente uscente Barack Obama, con tanto di ricorsi in sede giudiziaria.
Durante la campagna che l’aveva condotto trionfalmente alla Casa Bianca, Trump si era espresso in termini critici circa l’utilità della cosiddetta green economy, tanto da voler rivedere tutti gli accordi e i trattati internazionali in materia di clima sottoscritti dal suo predecessore negli otto anni di mandato. Resta da vedere se gli obbiettivi prefissati da Trump e condivisi dagli uomini d’affari che lo appoggiano potrebbero spingersi oltre il “semplice” smantellamento delle riforme promosse da Obama, in quanto la posta in gioco sembra essere piuttosto alta.
Gabriele Mirabella
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