Washington, USA – La crociata di Donald Trump contro Amazon e il suo fondatore e CEO Jeff Bezos sembra non avere fine: un nuovo tweet ha riacceso la personale faida che il Presidente americano conduce sin dal 2016 contro il colosso dell’e-commerce di Seattle. Nel mirino della Casa Bianca vi sarebbe, infatti, l’accordo che Amazon ha stretto con il Servizio Postale americano (USPS), causticamente etichettato come una «truffa» nonché un «pessimo affare per chi paga le tasse».
I have stated my concerns with Amazon long before the Election. Unlike others, they pay little or no taxes to state & local governments, use our Postal System as their Delivery Boy (causing tremendous loss to the U.S.), and are putting many thousands of retailers out of business!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) March 29, 2018
A causa dei continui attacchi di Trump, le azioni di Amazon sono crollate di circa il 5%, così come riportato da CNN, con parte dei suoi investitori che non hanno perso tempo a vendere nel timore di regolamentazioni da parte di Washington – anche alla luce degli ultimi scandali che hanno coinvolto Facebook e Cambridge Analytica – e della recente generale sfiducia dei mercati nei confronti dei colossi di Internet.
Nonostante questo, il tanto vituperato accordo con USPS – accordo che, per altro, non tocca le tasche dei cittadini americani – si è dimostrato tutt’altro che poco vantaggioso, così come dimostrato da una ricerca indipendente effettuata da Citigroup e confermato da Politifact.
È chiaro che per Trump il problema non sia tanto Amazon, quanto Jeff Bezos.
Dal 2013 Bezos, infatti, è anche il proprietario del Washington Post, quotidiano che il Presidente americano non vede esattamente di buon occhio: il Post è stato sempre in prima linea sia per i suoi report sul Russiagate che per le investigazioni nei confronti del resto della campagna presidenziale di Donald Trump.
Colpire Amazon per screditare Bezos e, di conseguenza, screditare il Washington Post è solo l’ennesimo esempio della ininterrotta crociata del Presidente americano contro la stampa; il che ha generato non poche preoccupazioni nel corso del suo mandato, soprattutto perché agli occhi dell’elettorato repubblicano le uniche agenzie “legittimate” dalla Casa Bianca sono Fox – di proprietà di Rupert Murdoch – e Sinclair broadcasting: ultimi baluardi trumpisti contro le fake news dei media liberal.
Una cosa è certa: Trump ha preso di mira Amazon per motivi personali ma questo fa di Bezos la vittima della vicenda? Tanti nel mondo della satira e del late night hanno ridicolizzato Trump per questi suoi tweet ma è così sbagliato criticare lo strapotere commerciale e politico di un’azienda che si avvia ad essere sempre più un vero e proprio monopolio in un settore chiave come quello del commercio on-line?
Certo, le accuse lanciate dal Presidente americano via Twitter dipingono uno scenario estremamente esagerato: Amazon, in realtà, ha pagato circa 412 milioni $ di tasse nel 2016; il suo accordo con USPS si è, finora, rivelato profittevole per entrambi; la posizione dominante che riveste nel settore dell’e-commerce non è nemmeno, a rigor di termini, definibile come monopolistica. Tutto questo, però, non significa che Trump abbia torto su Amazon.
Già nel 2016, all’alba della faida tra Trump e Bezos, Wired poneva un interrogativo che oggi rappresenta il punto centrale della questione: dobbiamo preoccuparci del successo di Amazon? Il quotidiano di San Francisco rispondeva negativamente, vedendo la posizione dominante del colosso di Jeff Bezos come quella di «una compagnia che sbaraglia la concorrenza in pieno stile capitalistico». La risposta non è intrinsecamente sbagliata ma non è nemmeno del tutto corretta: è un po’ semplicistico ritenere che Amazon non sia effettivamente un monopolio – o che, quantomeno, non sia sull’orlo di diventarlo – solo perché non ne ricalchi alla perfezione la definizione data nei libri di testo; è altrettanto semplicistico il fatto che Amazon possa aggirare le normative antitrust per il solo fatto che l’e-commerce non sia un settore tanto sviluppato quanto il tradizionale commercio al dettaglio.
Amazon rappresenta più del 40% delle vendite on-line e i recenti sbarchi in nuovi settori come quello alimentare, con l’acquisizione di Whole Foods, o quello dell’entertainment e del data management non fanno altro che solidificare quel potere di mercato che si traduce, inevitabilmente, in un enorme peso specifico in campo politico: cosa che ha permesso a Bezos di ottenere incentivi e agevolazioni fiscali impressionanti. Il New Jersey ha offerto, ad esempio, un taglio di circa 7 miliardi $ di tasse per la costruzione del secondo quartier generale di Amazon negli Stati Uniti.
È chiaro che, contrariamente a quanto sostenuto da Wired, non è che il commercio al dettaglio non si sia evoluto abbastanza in fretta ma che Amazon stia sfruttando incentivi e agevolazioni fiscali in un modo mai visto finora: tra il 2008 e il 2012 Jeff Bezos ha pagato solo il 9.3% di imposte federali e, anche il 412 milioni $ di cui si parlava prima, risultano insignificanti se messi a confronto con il fatturato di più di 177 miliardi $ ottenuto nel 2017. A ciò potrebbe aggiungersi la considerazione che l’accordo con USPS, nonostante si stia rivelando vantaggioso, è estremamente sbilanciato a favore di Amazon: il che, sebbene non rende vere le affermazioni del Presidente americano, non le rende totalmente false.
Sorvoliamo sulle brutali condizioni di lavoro degli impiegati di Bezos, argomento che certamente meriterebbe un approfondimento a parte, descritto dal New York Times come un ambiente in cui i dipendenti che non rispondono alla winning mentality della compagnia vengono licenziati o spinti alle dimissioni, in nome di un brutale «darwinismo intenzionale» dei luoghi di lavoro. Le allarmanti aspirazioni monopolistiche di Amazon non sono minimamente da sottovalutare e il fatto che i tweet di Trump vengano ridicolizzati e minimizzati da un certo tipo di stampa è, indubbiamente, il marchio dell’ipocrisia della mentalità capitalistica americana sul quale carro gli elettori liberal sono saliti senza comprendere fino in fondo il problema.
Lo straripante e l’incomprensibile strapotere di Amazon sono visti da Franklin Foer come i sintomi della nuova «età aurea del monopolio», un mondo in cui le compagnie di Silicon Valley hanno stracciato i connotati negativi del termine, reinvetandolo per indicare «un’azienda di grande successo».
Che ci si creda o meno, in questo mondo tocca a Donald Trump – un miliardiario repubblicano – raccogliere l’eredità di quello che era un tempo il tema principale del partito democratico americano e combattere goffamente, armato di tweet e nulla più, contro i nuovi aspiranti autocrati dei monopoli on-line.
Francesco Maccarrone
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