Una breve analisi sui limiti del modello di sicurezza israeliano presente nell’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv e in tutto il territorio dello Stato di Israele. Dopo aver parlato dei pregi del sistema aeroportuale israeliano, vi presentiamo anche i limiti, sociali, logistici ed economici che questo modello presenta.
Dopo gli attentati all’aeroporto di Bruxelles del 22 marzo e quello di Nizza lo scorso 14 luglio, il tema della sicurezza diventa sempre più centrale e l’esigenza di prendere decisioni drastiche, per evitare stragi come queste, adesso è fondamentale per l’Europa. Il pericolo maggiore è rappresentato dalla vulnerabilità degli spazi pubblici molto affollati, come le stazioni e gli aeroporti. Si è parlato molto del modello di sicurezza adottato da Israele e se sia il caso di seguire un esempio,drastico, che potrebbe cambiare radicalmente il nostro modo ci concepire la sicurezza e la prevenzione di attacchi del genere. In precedenza abbiamo spiegato perché adottare il sistema di sicurezza israeliano, analizzando i vantaggi che potrebbe portare un profondo cambiamento in materia di sicurezza. Adesso vi spieghiamo quali sono, invece, i limiti di un sistema che, seppur molto efficace in uno Stato continuamente a rischio attentati come Israele, è difficilmente realizzabile in Europa:
Un primo “limite” è stato individuato da Philip Baum, direttore della rivista Aviation Security International Magazine, il quale sottolinea quanto i controlli eccessivi negli aeroporti «ci stanno togliendo il piacere del volo e del viaggio». Secondo Baum, infatti, applicare i metodi dell’aeroporto israeliano Ben Gurion, costerebbe molto di più che aggiungere degli scanner, e i controlli diventerebbero molto più invadenti. Inoltre, il massiccio aumento della sicurezza aeroportuale avrebbe un costo elevatissimo: Israele spende dieci volte di più in termini di sicurezza, per ogni singolo passeggero, rispetto agli Stati Uniti.
L’aeroporto di Tel Aviv conta “solo” 16 milioni di passeggeri l’anno, mentre il più elevato numero di passeggeri dei maggiori aeroporti europei, rispetto al Ben Gurion (Il Charles de Gaull di Parigi ne conta più di 60 milioni), renderebbe difficilmente applicabile il modello degli aeroporti israeliani. Il Ben Gurion, infatti, è un piccolo aeroporto, ed è proprio questo a renderlo facilmente sicuro.
Il modello di sicurezza del Ben Gurion, per molti l’aeroporto più sicuro al mondo, non è applicato solo nella zona aeroportuale di Tel Aviv, ma in tutti i luoghi del Paese: stazioni ferroviarie, dei bus, bar, centri commerciali. Questo è possibile solo grazie ad una presa di coscienza, condivisa da tutti, del pericolo che ogni giorno corre la popolazione. Tutto questo è dovuto al contesto politico-sociale in cui riversa il popolo di Israele, e soprattutto, alla posizione geografica in cui si trova: in aperto contrasto con la protesta palestinese e l’ostilità dei popoli arabi.
La paura che possa avvenire un attentato terroristico in ogni momento fa si che la popolazione accetti “di buon grado” la giustificazione della violazione o sospensione di alcuni diritti umani, come la privacy o la libertà di movimento. A tali condizioni, sarebbe molto difficile avere il favore della popolazione europea
Il modello israeliano fonda la sua efficacia sullo scrupoloso controllo psicologico di tutti i passeggeri mediante la tecnica del profiling, una sorta di interrogatorio che porta il passeggero a ricevere un “indice di pericolosità” che va da 1 a 6. Questo metodo, seppur efficace, causa lunghe attese che possono arrivare fino a 3 ore. Tutto ciò creerebbe, in un grande aeroporto europeo, file chilometriche fino ad aree esterne alla “zona rossa”, spostando il pericolo fuori dall’aeroporto, e creando nuove esce per un potenziale terrorista.
Gianluca Merla
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