Dopo le ultime dichiarazioni di Giuliano Pisapia, che prende le distanze da una possibile coalizione con il Partito Democratico, sembra ancora più complesso il mosaico del centrosinistra che andrebbe ricostruito in vista delle elezioni del 2018. La scorsa settimana è stato innaugurato Liberi e Uguali, il soggetto politico che racchiude al suo interno Mdp (D’Alema, Bersani), Sinistra Italiana (Vendola, Fratoianni), Possibile (Civati). In una prima fase, Pisapia, a capo di Campo Progressista, aveva dichiarato di voler sostenere le scelte del Partito Democratico e di Matteo Renzi. Orientamento poi smentito lo scorso 6 novembre, quando l’ex sindaco di Milano ha affermato di non tollerare più altri rinvii allo ius soli nell’agenda politica del Paese.
In concomitanza con la scelta di Pisapia, un altro importante personaggio politico ha compiuto un passo indietro. Si tratta del ministro degli Esteri, Angelino Alfano, che ha dichiarato di non nutrire più l’intenzione di candidarsi. Cosa ne sarà del suo partito, Alternativa Popolare, è poco chiaro. Quel che invece è indubbio è il pericolo che espone Matteo Renzi a perdere consensi anche tra gli elettori di centrodestra disillusi dalle politiche di Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. «Non è stata una defezione, perché Pisapia non aveva deciso. Aveva studiato il campo e poi ha concluso che non era cosa»: ha dichiarato all’iniziativa Più libri più liberi Romano Prodi, colui che inisieme a Piero Fassino ha tentato per settimane di trovare un ponte con la sinistra fuori dal Pd.
L’ex Premier, ancora fedele ai democratici, non si astiene però dal rivolgere critiche all’attuale gestione del partito: «Il problema è che bisognerebbe ricominciare da capo. Io a suo tempo non ho inventato un granché ma c’era un disegno preciso di mettere insieme forze e contenuti. Mi criticarono per il programma di 400 pagine, ma quello di 140 lettere non è molto più soddisfacente. Un programma politico può anche essere di sei volumi… Ma con una coalizione ampia si deve scrivere. È senso di realismo. Perché i tedeschi ci mettono sei mesi a fare il programma di governo? Pensate non sappiano né leggere né scrivere?» L’attacco, velato ma non troppo, all’attuale segretario dem non è casuale. Infatti, il reale fattore che impedisce l’unione del centrosinistra pare essere proprio la figura di Matteo Renzi come candidato premier.
Sia D’Alema che Bersani, all’indomani della disfatta in Sicilia, avevano richiesto un segnale di discontinuità, sia come leadership che nei contenuti. Segnale che, apparentemente, non dovrebbe arrivare. Adesso la nuova sinistra, rappresentata dalla figura universalmente apprezzata di Pietro Grasso, sembra aver acquisito una sua identità. Al contrario, sembra che il Partito Democratico si trovi in una crisi culminata dall’impossibilità di trovare alleati per una competizione elettorale il cui sistema premierebbe maggiormente le coalizioni, rispetto alle singole liste. In conclusione, gli indizi sembrano affermare in maniera quasi inconfutabile che il centrosinistra si trovi, al momento, nella crisi peggiore degli ultimi cinque anni. E a destra c’è chi gongola.
Francesco Laneri
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