L’11 gennaio 2017 la Corte Costituzionale si esprimerà in merito all’ammissibilità di tre referendum abrogativi, presentati dalla CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro), i quali chiedono rispettivamente: l’abrogazione di quelle norme che, al posto del reintegro del posto di lavoro, garantiscono al lavoratore licenziato senza giusta causa un indennizzo economico (QUI il quesito); “l’eliminazione” del lavoro accessorio e della correlativa disciplina dei voucher (QUI il quesito); il ritorno alla responsabilità solidale limitatamente ai contratti d’appalto (tale istituto imporrebbe a committenti e subappaltatori di verificare che le società con cui lavorano siano messe in regola con i pagamenti dei contributi; QUI il quesito). Qualora il Giudice delle Leggi desse il suo benestare, gli italiani si recherebbero alle urne in una data che va dal 15 aprile al 15 giugno; in caso contrario, resterebbe in vigore la vecchia disciplina. Si ricorda che, in caso di ammissione da parte della Consulta della votazione, non basta la mera maggioranza dei favorevoli alla riforma sui contrari per far sì che tali cambiamenti avvengano, in quanto il referendum abrogativo ex art. 75 Cost. ha come condizione necessaria sufficiente un quorum strutturale per cui la consultazione referendaria sarebbe valida solo se la metà più uno degli aventi diritto andasse a votare. Eppure in Parlamento, secondo quanto riporta Repubblica.it, si vorrebbe evitare di ricorrere alla soluzione referendaria. Quali sono, allora, le soluzioni in alternativa?
In primis, certamente lo scioglimento delle Camere: per legge, infatti, le elezioni di Camera e Senato prevaricherebbero sul referendum abrogativo facendolo slittare di un anno. A questa via, però, si oppongo due ordini di problemi. Il primo sarebbe correlato all’effettiva mancanza di una legge elettorale, dato che il Consultellum (cioè il Porcellum o legge Calderoli) oggi ha valenza solo per l’elezione del Senato, essendo stato dichiarato contrario a Costituzione nella parte in cui prevedeva un determinato premio di maggioranza e rivisitato con l’aggiunta della possibilità di esprimere un voto di preferenza; mentre l’Italicum, che dovrebbe disciplinare l’elezione della Camera dei Deputati, sarà a breve soggetto di sindacato di legittimità costituzionale da parte della Consulta (a cui più tribunali hanno rimesso la questione, tra essi si annoverano quelli di Messina, Torino, Trieste e Genova). Il secondo problema, invece, riguarderebbe il volere del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il quale vede nello scioglimento delle Camere un’extrema ratio a cui non vuole (per ora) arrivare, nonostante molti leader politici richiedano subito l’andare al voto (es. Matteo Salvini, segretario della Lega Nord).
In secundiis, si starebbe pensando anche una modifica del Jobs Act, in cui verrebbero rivisitati i punti contestati dalla CGIL: quindi. sia la disciplina dei voucher (e del lavoro accessorio, inizialmente introdotto nel nostro ordinamento come strumento per combattere il lavoro sommerso), sia per la disciplina della responsabilità solidale in merito gli appalti (quest’ultimo punto, comunque, sarebbe squisitamente tecnico e discernendo da ogni valenza politica). Annamaria Furlan, segretaria della CISL (Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori), ha spiegato che «I voucher per la CISL vanno sicuramente cambiati e aboliti nei settori dell’agricoltura e dell’edilizia, dove sono diventati uno strumento selvaggio di precarietà del lavoro», come riporta Repubblica.it .
Per quanto riguarda, invece, il ritorno all’articolo 18 (non la norma originaria della legge n.300 del 1970, meglio conosciuto come Statuto dei Lavoratori, bensì quella della legge Fornero per quanto riguarda il lavoro privato), ma situazione sarebbe radicalmente diversa: nonostante, infatti, la questione del licenziamento e correlata indennità sia molto tecnica, l’eventuale abrogazione delle norme del Jobs Act (legge n. 23 del 2015) atte a smantellare il vecchio articolo 18 (unita alla parziale bocciatura da parte della Consulta della riforma sulla Pubblica Amministrazione e all’esito quasi plebiscitario del referendum costituzionale del 4 dicembre) costituirebbe la débâcle dell’operato di Matteo Renzi nei panni di Primo Ministro. Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, alla luce di tutto ciò si è limitato semplicemente a dire quanto segue: «Arriva il referendum? Io imprenditore attendo e non assumo. E questo è il capolavoro italiano dell’ansietà, di far vivere il paese in un clima perenne di incertezza totale».
Francesco Raguni
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