Il candidato alla Segreteria del Partito Democratico, di ritorno dal viaggio in California, affida i suoi pensieri alle pagine del quotidiano Il Messaggero e sceglie di ripartire dal lavoro. La proposta: un nuovo welfare, ma in formula vintage. «Serve il lavoro di cittadinanza».
Welfare, vitalizi e scissione: questi i temi a cui l’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha deciso di dare la priorità all’indomani del suo ritorno dal “privatissimo” viaggio in California. I tre giorni trascorsi nella West Coast sono stati floridi di incontri, in cui il Premier uscente ha stretto la mano agli esponenti dell’inarrestabile rivoluzione informatica: da Tim Cook, Amministratore Delegato di Apple, a Elon Musk, fondatore della Space Exploration Technologies Corporation e di Tesla Motors, passando per egregi professori universitari della Stanford e della Berkeley University.
«Il passato è passato» ha affermato durante l’intervista di Fabio Fazio nella trasmissione Che tempo che fa, sublimando la sconfitta referendaria del 4 dicembre e i malumori interni al Partito Democratico, ma rilanciando la sua discesa in un campo che di fatto non aveva mai abbandonato. Il candidato alla segreteria del PD sceglie di ripartire dal lavoro e lo fa in una lunga intervista al quotidiano Il Messaggero, difendendo il Jobs Act e promuovendo una riforma del welfare che parta dall’istituzione del lavoro di cittadinanza. Presupposto non del tutto inedito, dato che il un’idea simile viene decantata da anni dal Movimento 5 Stelle.
Il reddito di cittadinanza, come si legge sul blog di Beppe Grillo, è, infatti, il primo punto del programma pentastellato ed è finalizzato a «contrastare la povertà, la disuguaglianza, nonché a favorire la promozione delle condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro». Si immagina, così, di garantire un reddito minimo di 780 euro netti al mese agli aventi diritto, i quali dovranno obbligatoriamente fornire immediata disponibilità al lavoro e sottoporsi a colloqui di orientamento. Per quanto concerne, invece, le coperture del reddito di cittadinanza, gli estensori della proposta di legge hanno valutato in 17 miliardi l’anno il costo del provvedimento, mentre la sua gestione sarà delegata a diversi enti, Regioni, Comuni, Agenzia dell’Entrate, ecc… che si faranno garanzia di trasparenza.
Diversamente l’alternativa renziana appare molto più vaga, presentando come unico punto imprescindibile il concetto di reddito da lavoro: «Garantire uno stipendio a tutti non risponde all’articolo 1 della nostra Costituzione, che parla di lavoro non di stipendio. Il lavoro non è solo stipendio, ma anche dignità», contesta ai grillini Matteo Renzi. È ipotizzabile che si tratti di un implemento alla legge delega sulla povertà, approdata al Senato la settimana scorsa dopo un iter legislativo di oltre un anno. Alla base vi è l’idea del Reddito di Inclusione (ReI), che prenderà il posto del Sostegno all’inclusione attiva (SIA), un aiuto alle famiglie che si aggira sui 320 e i 400 euro mensili e che scatterà con l’adesione del capofamiglia ad un progetto personalizzato di riattivazione sociale e lavorativa. Quel che è certo, però, è che lavoro e welfare rivestiranno un posto di rilievo nei programmi della classe dirigente, almeno in campagna elettorale.
Francesca Santi
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