Sebbene oscurata dalla risonanza mediatica del via libera ai matrimoni omosessuali e delle conseguenti dichiarazioni della Cancelliera tedesca Angela Merkel, nella giornata di venerdì il Bundestag ha approvato il Network Enforcement Act o, com’è stato definito dalla stampa internazionale, Facebook Law.
Da quanto appare da una prima lettura, le compagnie di social media con più di due milioni di iscritti saranno soggette a multe fino a €50 milioni nel caso in cui non eliminino contenuti “chiaramente illegali” entro 24 ore dalla loro pubblicazione; nei casi meno chiari il limite di tempo è prorogato a sette giorni. Con la nuova legge, la Germania diventa il primo paese occidentale a dotarsi di una legislazione che circoscriva l’attività degli utenti online e che ritenga responsabili le stesse compagnie per ciò che viene condiviso sulle loro piattaforme.
La Facebook Law non è certo il primo esempio di tale tipo di restrizioni: la normazione contro l’incitazione all’odio che sia razziale, etnico o sessuale, affonda le sue radici nel contesto storico moderno, successivo alla Seconda Guerra Mondiale, durante il quale molti paesi europei – tra i quali la Germania – si sono dotati di leggi per combattere l’istigazione alla discriminazione. Questa concezione, figlia della visione militante della protezione dei diritti democratici in Germania, non è esattamente condivisa in tutto il mondo: è soprattutto vista negativamente negli Stati Uniti, patria dei social della Silicon Valley, in cui il cosiddetto hate speech gode della protezione costituzionale del First Amendment ed è riconosciuto, a tutti gli effetti, un’articolazione della libertà di espressione propria del cittadino americano.
Stando alle dichiarazioni dei sostenitori del Network Enforcement Act, come il Ministro della Giustizia tedesco Heiko Maas, la legge è il frutto di un percorso tanto travagliato quanto necessario: negli ultimi anni, in Germania, si è assistito ad un aumento del 300% dei crimini d’odio e la quasi totalità di questi ha trovato nelle piattaforme dei social media una cassa di risonanza per alimentare un sentimento di xenofobia latente, soprattutto ai danni dei rifugiati siriani accolti dalla Germania nel 2015. È stato necessario più di un anno di discussioni ininterrotte con i rappresentati delle maggiori compagnie – Facebook, Google e Twitter tra tutte – per cercare un’intesa comune su come risolvere il problema della pervasività delle espressioni di odio condivise sulle loro piattaforme ma le trattative non hanno condotto a grandi risultati.
La nuova legge ha generato, chiaramente, un’ampia ondata di critiche sia da parte dei social colpiti sia da parte degli attivisti per i diritti della rete. Mirko Hohmann, del Global Public Policy Institute di Berlino, ha sollevato dei dubbi sull’utilità di tale legge e, soprattutto, sulla sua costituzionalità: non solo non sono previste delle sanzioni per chi materialmente condivida del materiale «chiaramente illegale» (sarebbe anche da chiarire cosa si intende con tale espressione) ma anche sposta l’onere della responsabilità di reprimere tali comportamenti dalle corti di giustizia ai provider stessi, il che attribuisce di fatto un potere di censura senza limiti ai moderatori dei social che eliminerebbero qualsiasi contenuto sospetto pur di evitare di incorrere nella penale prevista.
David Kaye, rappresentante delle Nazioni Unite per la promozione e la protezione della libertà di espressione e opinione, ha aspramente criticato la nuova legge: «misure di censura non dovrebbero essere delegate a enti privati. Gli Stati non dovrebbero richiedere al settore privato di interferire […] con la libertà di espressione, attraverso leggi, politiche o mezzi extralegali».
Proprio questo è il nodo cruciale della questione: può la libertà di espressione essere limitata per combattere l’incitamento all’odio ? E se sì, chi è autorizzato a distinguere tra il dissenso politico e questo tipo di retorica ?
È evidente che risposte a quesiti simili non siano immediate e che quelle offerte dal legislatore tedesco non bastino a combattere quelle piaghe che, come la xenofobia e l’omofobia, trovano terreno sempre fertile nelle piattaforme social e nell’intricata giungla di Internet. È altrettanto evidente che l’estrema diffusione dei social media nelle nostre vite e l’enorme peso che questi hanno nelle dinamiche di ogni giorno abbiano reso indispensabile un intervento diretto a regolare il loro impatto e le loro conseguenze, nella speranza e con l’obbiettivo che tali politiche non creino pregiudizi per un diritto fondamentale quale la libertà di espressione.
Francesco Maccarrone
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