A quale viaggiatore, in aeroporto, non sarà capitato di dover lasciare a terra flaconi di shampoo o semplici bottigliette d’acqua per via delle strettissime norme di sicurezza? Altra storia, però, riguarda i cosiddetti “trofei di caccia”, come corna, zanne, zampe e intere teste di animali uccisi brutalmente, riposti in valigia alla stregua di maglioni o piastre per capelli. Nessuna norma, infatti, vieta il trasporto di questi souvenir della barbarie umana sui voli di linea. Qualcosa, tuttavia, sta cambiando a seguito della vicenda del leone Cecil, animale simbolo dello Zimbabwe, ucciso dal dentista americano Walter Palmer.
La vicenda, infatti, è letteralmente rimbalzata su tutte le piattaforme mediatiche con un impatto dirompente, infiammando l’opinione pubblica mondiale e scatenando il disappunto non solo delle maestranze animaliste, ma anche dei comuni cittadini. Sembrerebbe che Cecil, con la sua morte crudele ed evitabile, abbia risvegliato le coscienze riguardo all’utilità di uno “sport” (se di sport si può parlare) ormai anacronistico quale è la caccia, e abbia posto i riflettori sulla questione attualissima del bracconaggio.
È sull’onda di tanta indignazioni che tre delle più importanti compagnie aeree americane (Delta, American Airlines e United) hanno deciso di vietare il trasporto di bottini di caccia a bordo dei propri voli. Nessuna zanna di rinoceronte, né corna di bufalo, né tantomeno teste di animali saranno più ammesse in valigia.
E pensare che appena lo scorso maggio la compagnia Delta aveva palesato l’intenzione di continuare a consentire il trasporto dei trofei di caccia, almeno fino a che non fossero state stabilite esplicite norme contro la caccia di animali feroci. Adesso, invece, la stessa Delta ha imposto un severo divieto al trasporto dei trofei, seguita, tra l’altro, dalle altre due compagnie che effettuano il maggior numero di voli diretti tra Africa e Stati Uniti (American e United).
Sembra, dunque, che la morte del “Re Leone” dello Zimbabwe sia servita perlomeno a risvegliare le coscienze assopite, per troppo tempo, di fronte a una questione tanto seria. Forse, infatti, l’iniziativa di queste compagnie aeree non basterà a scoraggiare il “turismo di caccia” e, certamente, i bracconieri troveranno altre escamotage per poter trasportare i propri “ricordini dell’orrore”. Eppure, questa presa di posizione indica come qualcosa sia stia muovendo, come la mentalità possa evolversi, per riconoscere, una volta per tutte, che uomini come il signor Palmer non sono turisti, innocui turisti armati di obiettivo e zainetti, bensì spietati assassini da braccare come le bestie a cui danno tanto la caccia.
Debora Guglielnino
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