Una volta, se mi avessero chiesto cosa fosse per me il giornalismo avrei risposto che è mettersi al servizio degli altri, senza chiedere quasi nulla in cambio. È sapere di venire criticati, senza mai smettere di esprimere la propria idea. È avere una grande forza d’animo; è cultura, pratica e teoria, spirito d’intraprendenza e capacità di relazionarsi con gli altri. È avere problemi nella propria vita privata a causa delle scelte che si prendono in suo nome. Il giornalismo, quello vero, è roba per stomachi forti; non s’insegna all’Università, ma consumando la suola delle proprie scarpe per strada e i polpastrelli sulla tastiera. È l’informazione di cui la società ha bisogno per esistere. Il giornalismo è un grande potere e, come tutti i poteri, una maledizione se utilizzato nel modo sbagliato.
Oggi per me il giornalismo è ancora tutto questo, ma è anche sfruttamento, ricatti occupazionali ed economici che ledono la libertà e la qualità dell’informazione. Da direttore responsabile dimissionario – sì, dimissionario, avete capito bene – di una realtà no profit con alle spalle oltre sei anni di servizio, non posso che essere orgoglioso dei tre giornalisti, Francesco Raguni, Francesco Laneri e Marcello Strano, che sono usciti fuori, secondo la metafora del self-made man, da questo progetto. E chissà, magari ne usciranno degli altri in futuro. Quello che mi preme sottolineare, lungi dal dilungarmi in retorici addii alla redazione e ai miei colleghi, anzi amici, è che il bicchiere va guardato sempre mezzo pieno. Voci di Città, il giornale che io stesso ho fondato, ha rappresentato per me il bello e il cattivo tempo, mi ha permesso di realizzare un sogno (diventare giornalista a mia volta), ha regalato questo sogno ad altri, mi ha fatto crescere come uomo e come professionista della comunicazione.
Mentirei se dicessi che, lungo il cammino, ho sempre avuto tutte le risposte, molte non le avevo e ho dovuto inventarle, altre le ho cercate da chi era più esperto di me; mentirei se dicessi che non ho mai sbagliato, ho sbagliato, più di una volta, ma ho anche imparato. Perché lasciare il timone, dunque? I motivi sono molteplici e non li elencherò, ma riassumendo di molto, sento che, come ha scritto il mio attuale vice, nonché ex direttore di Voci di Sport, Andrea Motta, anche lui dimissionario, è arrivato il naturale momento in cui è giusto «fare un passo indietro e abdicare in favore di qualcuno che abbia più forza, motivazioni e tempo da spendere alla causa». Lascio, quindi, Voci di Città e gli auguro, come fa un genitore con un figlio ormai adulto, d’imparare a camminare con le proprie gambe.
Ringrazio, per ultimo, il mio vecchio ex amico Andrea Battaglia, con cui nel 2011 ho fondato il giornale e portato avanti l’associazione culturale Voci di Corridoio fino al 2014; da quell’anno in poi si è trattato di un altro VdC. Gli altri, tutti, sia coloro che sono rimasti, sia coloro che se ne sono andati, in qualche modo hanno fatto parte della mia vita e della storia del giornalismo amatoriale e, pertanto, nel bene e nel male, li ricorderò. Ai nuovi dico: se non vedete la meta, è solo perché non è quella che siete veramente inclini a perseguire.
Alberto Molino
@AlbeMolino
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Fondatore di Voci di Città, ex direttore responsabile dello stesso, ora cura la rubrica di tecnologia di NewSicilia, ha lavorato al Quotidiano di Sicilia, ha collaborato con Sicilia Journal, ha pubblicato un romanzo e un racconto, ha 26 anni ed è laureato in Scienze della Comunicazione. Quando ne aveva 18 ha vinto un premio nazionale per avere diretto il migliore giornalino scolastico del Paese. Definito da alcuni fascista e da altri comunista, il suo vero orientamento politico non è mai stato svelato, ma una cosa è certa: Molino non lo ferma nessuno, tranne forse la sua ragazza.