Scavare nel passato per comprendere il presente è da sempre un bisogno dell’umanità, a cominciare dagli innumerevoli studi sui comportamenti e le abitudini, anche e soprattutto dal punto di vista alimentare, dei nostri antenati. L’Italia era Patria del gusto e del buon vino con tutta probabilità già in un’epoca assai remota, ovvero l’Età del Rame (collocabile nel IV millennio a.C.). Lo dimostra uno studio effettuato da un team di ricerca internazionale guidato dal prof. Davide Tanasi dell’University of South Florida di Tampa, con la partecipazione del CNR, dell’Università degli Studi di Catania e di esperti della Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali del Comune di Agrigento, pubblicato recentemente sulle pagine della rivista di divulgazione scientifica Microchemical Journal.
Il lavoro dell’equipe tra i reperti archeologici siciliani comincia nel 2010, quando da differenti punti di scavo (uno sul Monte Kronio, a 7 km da Sciacca, l’altro in località Sant’Ippolito, nei pressi di Caltagirone) vengono recuperate alcune giare in terracotta non smaltata risalenti al IV millennio a.C. Dalle successive analisi in laboratorio vengono trovati sui frammenti dell’antico vasellame residui millenari di acido tartarico e del relativo sale di sodio, sostanze rilasciate durante i processi biochimici di vinificazione. Una scoperta che colloca l’attività della viticoltura da parte dell’uomo in un’epoca sicuramente antecedente all’Età del Bronzo.
La produzione vinicola in territorio italiano si diffuse durante il periodo dell’Età del Bronzo medio, collocabile tra 1.300 e il 1.100 a.C., tuttavia esistono testimonianze ancor più antiche, come dimostra il ritrovamento di un torchio sul Monte Zara, in Sardegna, avvenuto nel 1993 (resti di una civiltà remota come quella nuragica, dedita alla produzione di vino già 3 mila anni fa), tappa fondamentale per ricostruire non soltanto abitudini alimentari ma anche per comprendere rudimentali forme di economia e scambi commerciali tra i popoli.
Gabriele Mirabella
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